Gesta di Brigastio – Canto Nono

O stirpe umana che calpesti il mondo,
Quanto san esser brevi i tuoi trionfi!
Guarda Corvino, poco or fa giocondo,
Brigastio e Mirabella, già sì tronfi:
Nel fango e nelle pozze vanno a fondo
E i loro piedi zuppi fan gran tonfi;
Han vinto la battaglia eppure, vedi,
Nel vento e nella pioggia vanno a piedi;
A piedi verso casa fan ritorno
E il tempo irriguardoso li tempesta:
Brigastio china il capo per lo scorno
Mentre il rovescio gli martella in testa,
La fasciatura c’ha il suo piede intorno
Si sfascia ad ogni polla che calpesta,
E non perturba l’aria con parole
Che non sian volte ad invocare il sole;
Marcia Corvino attraversando il vento
E la tempesta forte, fredda e dura:
Gli colano le gocce lungo il mento,
Gli sferza l’aria il corpo senza cura,
E gli si affaccia il vil presentimento
Che possa arrugginirsi l’armatura,
Bloccandolo per sempre sulla strada
Come una statua a cui nessuno bada;
Va Mirabella con le chiome sfatte:
La veste pregna, che aderisce tutta,
Rivela le sue forme qual son fatte,
E chi sa quanto è bella quando è asciutta,
Or che il diluvio in cotal via la batte,
Da sé può ben capir che non sia brutta…
Ma la ripara d’ogni sguardo intento
La pioggia fitta come un paravento;
I tre van mollemente nel pantano
Avanti per inerzia, a passi lenti,
Procendon nella pioggia piano piano,
Col capo chino e con gli sguardi spenti,
E a chi li riguardasse da lontano
Con occhi ben avvezzi a piogge e venti
Parrebbe un di que’ capannelli i quali
Si vedono tal volta ai funerali.
Ma come fa l’inverno su in montagna,
Che quando è primavera, pigramente,
Di malavoglia, come chi si lagna,
Si toglie col suo freddo dalla mente
E dagli alpeggi, che il disgelo bagna
E il giorno intiepidisce lentamente,
Così la pioggia, che la terra drena,
Dirada a poco a poco e rasserena,
E torna sui viandanti zuppi e stanchi
Il sole che sembrava una memoria
Di qualche cosa che da un po’ ti manchi:
Risplende in alto in tutta la sua gloria,
Asciuga il capo e gli arti e il collo e i fianchi,
Asciuga il corpo, il mondo e questa storia,
I fogli scritti, insieme a quelli bianchi,
E ci riporta un po’ di quel calore
Che ci fa vivo il sangue e caldo il cuore.
Ma quando il caldo è troppo e picchia in testa
O sale dalle viscere e trabocca,
Può darsi che un bel clima, già di festa,
Si turbi come il matto quando sbrocca
Ed entri dentro al cuore una tempesta
Per qualche cosa uscita dalla bocca…
Così avverrà in misura poco lieve
Nel fatto che vi narrerò tra breve:
Camminavano i tre, da poco asciutti,
Sfiniti come il prode nuotatore
Che, contrastato da contrari flutti,
In guerra con il mar per ore ed ore,
Stremato sulla spiaggia in fin si butti
Per dare alla sua pelle più colore,
Quando raggiunsero una fattoria,
La sola lì, per miglia, sulla via.
Scendeva il sole, dal tramonto vinto
E il buio si faceva più vicino,
Stavan lì presso, chiusi in un recinto
Un mulo, un asinello e un cavallino,
Ciascun da una robusta corda avvinto,
Come l’avea lasciato il contadino
Quando conclusa la fatica intensa
Era tornato alla sua parca mensa.
Disse Brigastio: «Questa è la Fortuna,
Che pur se ci ha diserti lungamente,
Nell’ora ch’è ormai tarda e inopportuna,
Di noi s’è ricordata finalmente!
Sciogliamo queste bestie ad una ad una
E riprendiam la via velocemente:
Raggiungerem la dama in pochi giorni
Che aspetta che Corvin da lei ritorni!»
Rispose a lui Corvino, mestamente:
«Ahimé non ho denaro per l’acquisto,
E a quanto io ne so, similemente
Avete voi lasciato il loco tristo
Senza portarvi seco somma ingente,
Né mi risulta mai che si sia visto
Alcun che desse via, se non per oro,
I mezzi indispensabili al lavoro.»
Fece Brigastio allora, sottovoce:
«Già vien la notte come una coperta,
Il contadino la sua zuppa cuoce
E non ha in casa una finestra aperta…
Prendiam le bestie e ce ne andiam veloce:
Domani solo ne farà scoperta.»
E detto ciò si mosse verso i pali
A’ quali eran legati gli animali.
Corvino, ratto come chi è in battaglia,
Si pone tra Brigastio e l’asinello,
E, con la mano come una tenaglia,
Lo afferra per il braccio forte e snelllo,
Poi, come quel che vede alcun che sbaglia,
Gli fa «Ottimo amico e ottimo fratello,
Frodar così de’ poveri mezzadri
Non è da cavalieri ma da ladri!»
Risposegli Brigastio, cupo in volto:
«Io non son cavaliere né di rango,
Amico che dalle catene ho sciolto,
Se ciò ti offende pur non lo rimpiango,
Che non fa il motto che tu m’hai rivolto
Così che del parere non rimango:
Pur fosse in una corte o in una fogna,
Ho sempre tolto quel che m’abbisogna!
Ed ora m’abbisogna di scamparci
Da questo luogo e questa strada orrenda.
Se il modo ancor t’offende, che può farci?
Può darsi un giorno ne faremo ammenda…
Vuoi tu che Mirabella ancora marci?
Vuoi tu che Cassandretta ancora attenda?
Non patirem pel bene d’un villano!
E soprattutto… Lasciami la mano!»
«Ti lascerò la mano, non il passo!»
Disse Corvino, con cinerea fronte,
Lasciando ricadere verso il basso
La mano dalle dita forti e pronte
«Siccome è molle il fico e duro il sasso
Non posso contemplare simil onte!
Che chi vede far male eppur si tace
È pari a quello che il misfatto face!»
Brigastio allor: «Giammai non ho sofferto
Che alcuno m’impedisse nell’andare,
Sfidandomi in tal modo a viso aperto!»
«Sei l’ultimo che mai vorrei sfidare!»
Disse Corvino come chi è diserto
«Ma ciò che fai non posso lasciar fare!»
E l’uno guarda l’altro di traverso
E la tensione aumenta ad ogni verso…
Sgomenta Mirabella sta in disparte
E osserva l’amicizia diradarsi,
Fa un passo indietro, come chi si parte,
Si ferma, come chi non sa il da farsi,
Vede Corvino, armato come Marte,
Vede Brigastio che non sa placarsi:
Decisi e saldi come chi già scelse
Entrambi han chiuso i pugni sopra l’else
E l’uno dice all’altro «Fatti indietro!»
E «Non provarci!» e «Non mi minacciare!»
E l’aria tra di loro è come un vetro
Che sta per frantumarsi e per tagliare,
Il volto di ciascuno è fatto tetro
Ed è finitio il tempo di parlare:
Con le anime già avvinte nel certame,
I due fratelli estraggono le lame.
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