Gesta di Brigastio – Canto Settimo

 

Ora poniamo mente a quella giara

Che aveva Cuordipietra dietro al trono,

A come la sua mano lesta e avara,

Che mai non fece nulla che fu buono,

L’ha presa, non curando se sia amara,

E l’ha stappata con un sordo suono,

Portandola alle labbra immantinente,

Siccome ho detto al canto precedente.

 

Cuoredipietra beve a garganella

E il liquido, che è amaro e puzzolente,

Gli entra d’onde gli esce la favella,

Gli scende per il gozzo in un torrente

E giunge, come già la pappardella,

In fondo all’apparato digerente;

Laggiù quella pozione arcana innesca

Una trasformazione stregonesca:

 

Come talvolta avviene nel deserto,

Che il vento si riveste della sabbia

E, al modo delle nubi in cielo aperto

Che tengon l’orizzonte in una gabbia,

Non posa fino a che non ha coperto

Di polvere ogni cosa ch’ivi s’abbia,

Così nel ventre cresce il malefizio

E riempie di quel corpo ogni interstizio;

 

Lo stomaco cementa e muta in sasso

Il fegato, la milza e gli intestini,

De’ bronchi e de’ polmoni fa un gran masso,

Pietrifica le ossa e gli ossicini,

Dovunque vi sia un che di molle o lasso

Lo rende quale i fianchi montanini

E non risparmia di mutare in roccia

La linfa con il sangue a goccia a goccia.

 

Gli eroi, sorpresi, a riguardar ristanno

E paion dir «Non credo a quel ch’io veggio!»,

Mutato in tutto il corpo è quel tiranno:

Se già era brutto prima, adesso è peggio.

Le membra mostra d’esser marmo fanno,

Mentre si leva altiero dal suo seggio,

Che a quella mutazion solo è sfuggito

Il cuore, ch’era già tutto granito.

 

Si leva altiero dal suo seggio e ghigna,

Brandendo un’ascia dalle doppie penne,

E grida ai due compagni, in vece arcigna:

«Non uno isperi di sfuggire indenne!»

Ma forse che Brigastio se la svigna

O che Corvino fugge nelle Ardenne?

No certo, ché non val stanchezza o piaga:

Son pronti con il brando e con la daga.

 

Tremendo e forte incombe Cuordipietra,

Di marmo il corpo e di granito il cuore:

Non credo vi sia al mondo lira o cetra

Che possa cantar tutto quell’orrore!

Pur non Corvino, non Brigastio arretra,

Ma entrambi, saldi, voglion farsi onore

E sbaragliare quel tiranno bruno:

Impresa mai compiuta da nessuno!

 

Corvino avanza e leva in sua difesa

Il ligneo scudo dai ventotto segni,

La spada è pronta in alto nell’attesa,

Rossa del sangue di avversari indegni,

E la corazza, che par non gli pesa

E ha sfavillato per imperi e regni,

È fatta or bruna dalla gran battaglia

Ed ha ammaccata piastra e rotta maglia.

 

Cuoredipietra cala la sua scure

E trova il forte clipeo di Corvino,

Questi risponde con la spada, eppure,

Sebbene abbia menato un colpo fino,

Quando raggiunge quelle membra dure

La lama non fa più d’un temperino,

Che Brandifiamma, per la prima volta,

Non versa il sangue là dov’è rivolta.

 

La scure cala sullo scudo spesso

E ad ogni colpo lascia maggior traccia,

Reagisce il paladino e forte e spesso

Colpisce l’avversario in petto e in faccia;

Ma non colpirlo quasi era lo stesso…

Il taglio pare danno alcun non faccia:

Seppur può Brandifiamma fender roccia,

Non par che la fessura al fesso noccia.

 

Infatti che può fare una lesione

A chi è fatto di sasso e non di carne?

Cuoredipietra non ha usbergo o umbone:

Davvero non saprebbe cosa farne!

Col derma spesso a fargli da bastione,

Non para i colpi, pensa solo a darne:

Cotale è il corpo di quel vil marrano

Che il filo d’ogni spada rende vano.

 

Come fa il fabbro con il suo martello,

Avanti che la lama sia temprata,

Che sin che il ferro è piano come un vello

Ritorna a rinnovare la bordata,

Similemente fa il petroso fello

E su Corvino abbatte asciata e asciata,

Sicché ha schiacciato il valoroso drudo

Sotto al coperchio del suo stesso scudo;

 

Brigastio allora si fa avanti e attacca,

Pur col veleno che gli corre in vena,

E se il mortale filtro già lo fiacca

E la sua possa a poco a poco scema,

Non pare proprio gliene importi un’acca:

Doppia lo sforzo e triplica la lena,

E col parlar che gli si fa più fioco

Dice alla Morte: aspetta ancora un poco!

 

Brandisce Zanna e affonda e incide e incalza,

Senz’altro effetto che un astioso suono,

Ma dà tregua a Corvino, che si rialza,

Gettando via lo scudo non più buono,

Ed or son spalla a spalla e calza a calza,

E ognuno dice all’altro «Ecco: ci sono!»:

Si batton con tenacia e senza sosta

Siccome l’onda all’orlo della costa;

 

Ma è Cuordipietra un formidabil mostro

Che rotea con possanza la sua scure

E poi l’affonda simile ad un rostro,

Solcando come rena le armature,

Così colpisce sì Corvino nostro

Da fargli traballare le giunture,

Ed a Brigastio un manrovescio sferra

Che lo distende sulla cruda terra.

 

Allora lui, che non conosce resa

Ed ha sentor che il tempo lo diserti,

Da lì dov’è la schiena sua distesa,

Scaglia la Zanna verso gli occhi aperti

Di quell’imperatore dell’offesa

La cui mostruosità fa i prodi incerti:

La punta centra in pieno la pupilla

E quello getta indietro il capo e strilla:

 

Cuoredipietra strilla e ringhia e schiuma

E lascia cader l’ascia dalla mano,

E, con la vista che a metà s’imbruma,

La lama, che nell’occhio suo villano

Infitta è come in l’avvoltoio piuma,

A svellere si prova, ma è già vano,

Che il buon Corvino, senza perder tempo,

Si getta a capofitto nel cimento:

 

Il cavaliere scatta e in tre falcate,

Balzando come quel c’ha l’ali e vola,

Raggiunge il re delle già vinte armate,

Sul petto in pura pietra pon la suola

E, mentre grida a fauci spalancate,

Gli spinge Brandifiamma per la gola

Giù fino a dove il nero cuor si cela,

Spaccandolo a metà come una mela.

 

Cuoredipietra cade e va in frantumi,

Alzando un polverone nella stanza:

Come le statue degli antichi numi,

Che un tempo ne mostravan la possanza,

Ma adesso son camuse e monche e implumi

E quasi scevre d’ogni rinomanza,

Così quel mostro or par null’altro sia

Che materiale per archeologia.

 

Corvino intanto stringe il suo compagno

E lo sostiene per le spalle stanche,

Che quel veleno di serpente e ragno

Gli fa già molli braccia, schiena ed anche,

Immerso è nel sudore come un bagno

E le sue guance sono fatte bianche,

Né sa se il suo futuro sia l’Averno

O un’agonia che duri in sempiterno.

 

L’amico lo conforta e dice: «Prode,

Hai già sconfitto peggio che il veleno!»

Come chi crede che una vera lode

Riporre può la vita ove vien meno;

Risponde a lui Brigastio: «O mio custode,

Che il corpo mi sollevi dal terreno,

Che onore averti accanto nella guerra!»

E tace, fa un sorriso, e gli occhi serra.

 

Canto Sesto

                         Canto Ottavo

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