Orgoglio e Pregiudizio di Jane Austen

Jane Austen ha tutta la mia stima.
Anzitutto, Orgoglio e Pregiudizio è un titolo bellissimo (in inglese è ancora meglio perché Pride and Prejudice è meravigliosamente allitterativo) e sintetizza benissimo le dinamiche del romanzo (brava Jane! hai fatto bene a cambiarlo: First Impressions non rendeva allo stesso modo).
Poi ci tengo a dire che in tutto il romanzo non succede praticamente nulla.
È meraviglioso: ci sono delle sorelle in età da marito e dei giovani scapoli in età da prender moglie, e si incontrano e si reincontrano e non succede mai niente, ed è tutta una questione di chi sposa chi e se ci si sposa con amore o senza amore e coi soldi o senza i soldi (siamo all’inizio del 1800 e le donne di un certo ceto sociale – quello di Miss Austen – non avevano molte possibilità di sostentamento che non comprendessero il matrimonio o la famiglia – in pratica, il loro lavoro era sposarsi).
Ora, normalmente una simile trama mi annoierebbe quanto un corso di ricamo in latino, voglio dire: non c’è nemmeno un duello o un omicidio, niente di magico o soprannaturale e neanche una spada o un pugnale, e per di più non sopporto i matrimoni… In questo caso, però, la narrazione mi ha completamente avvinto e mi ha divertito clamorosamente. Non solo sono innamorato del romanzo, ma se Jane Austen fosse un po’ più giovane e un po’ più viva, probabilmente le chiederei di sposarmi (e lei rifiuterebbe, per la fortuna di entrambi). Alla fin fine, il segreto di un grande libro è un grande scrittore (in questo caso una grande scrittrice), che non è poi questo gran segreto…
Perché Pride and Prejudice è un classico?
Ciò che rende straordinario Orgoglio e Pregiudizio è innanzitutto l’ironia. Lampeggia già nell’incipit: «È verità universalmente riconosciuta che uno scapolo in possesso di un solido patrimonio debba essere in cerca di moglie». Tutto il racconto, e molti personaggi, sono permeati da questo sottile umorismo, che rende gustosa ogni singola frase.
Il niente della trama è intrecciato in modo magistrale: non ci viene rivelato nulla più del necessario e scopriamo come stanno davvero le cose allo stesso ritmo della protagonista (Il romanzo è narrato in terza persona, ma noi vediamo solo attraverso gli occhi di Elizabeth).
E poi c’è quell’epico incontro-scontro tra i sentimenti più profondi e la necessità più materiale, e il fatto che l’amore, in questo capolavoro, non è soltanto affetto e passione, ma scaturisce e deve scaturire dalle virtù dell’amata o dell’amato (e chi non le possiede non è, semplicemente e letteralmente, amabile), in modo che Jane tiene in vita ancora qualcosa di quell’amor cortese a cui, come sapete, sono tanto affezionato.
L’autrice parla solo di ciò che conosce (tutto l’universo maschile ci appare filtrato, insieme a qualsiasi cosa sia sopra o sotto il suo ceto sociale) e questo si sente: al di là delle romanticherie, lo spaccato sociale è autentico e vivo, e tutto ha sapore.
Il bello però è che, abbandonato il contesto, le dinamiche relazionali e i sentimenti sono sempre quelli, anche oggi e altrove, e il romanzo funziona, tanto che lo ritroviamo dappertutto: ne hanno tratto film, serie televisive e persino altri romanzi (il più eclatante è intitolato Orgoglio e Pregiudizio e Zombie) e ci coinvolge sempre. In fin dei conti si parla di affetti e di prime impressioni… chi non si sente chiamato in causa alzi la mano.
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