Gesta di Brigastio – Canto Quinto

Brigastio s’incammina con Corvino
Ed escon dalla stanza insanguinata;
Per primo avanza il Conte Paladino
Con Brandifiamma in pugno, già sguainata,
E il nostro eroe lo segue da vicino,
Ben pronto al trabocchetto e all’imboscata:
Se non li distinguesse l’armatura
Parrebbero una singola creatura.
I prodi avanzano in que’ corridoi
Scavati grezzamente nella roccia
E quel buiame par che non li annoi
Né quell’umidità par che gli noccia,
Pur se condensa sul soffitto e poi
Gli casca nel colletto a goccia a goccia:
I due, che sono impavidi e zelanti,
Si serrano i mantelli e vanno avanti.
A un tratto, poco prima di una svolta,
Odono voci, intese a così dire:
«Di nuovo? ma è già la terza volta!»
«Che posso far? Mi viene da dormire!
La guardia, nella notte, andrebbe tolta!»
«Mucala lì! Non pensi che a poltrire!»
«Mi abbiocco a stare qui di sentinella!
Che vuoi che sia una breve pennichella?
Tu svegliami se arriva l’ufficiale!»
«Va bene, ma non metterti sdraiato,
Che se ne accorge e noi finiamo male!»
Brigastio, non appena l’ha ascoltato,
Porta la mano all’elsa del pugnale
E piano al Conte dice: «Non un fiato!
Tu resta qui, che a lor penserò io:
Questi li sistemiamo a modo mio…»
Come una guardia dorme sulla panca,
Brigastio si avvicina piano piano,
Scivola dietro a quella meno stanca
(Che sta coi sensi all’erta e scruta in vano),
Le giunge quasi addosso e poi la branca,
Tappandole la bocca con la mano
Prima che n’esca una parola sola;
Quindi le passa Zanna sulla gola.
Regge il corpo affinché non faccia chiasso
E lo accompagna giù sul pavimento,
Poi va da quel che dorme come un sasso
E gli appoggia il coltello sotto il mento,
Quindi lo desta, senza far fracasso,
E mentre quello è colto da sgomento
Gli dice «Sveglia! E resta fermo e zitto!
O fai come ti dico o sei trafitto!»
Quel tale, che di eroico ha proprio poco
E quel poco l’ha ben lasciato altrove,
Come chi è su un vascello che va a fuoco,
Con gli occhi cerca scampo in ogni dove
E non ne può trovare in alcun loco,
Allora si rassegna e non si muove
E prega, e dice che farà di tutto
Per risparmiare alla sua donna il lutto.
Allor gli fa Brigastio, con disdegno:
«Dicci dove si trova Mirabella
E dove sta quel cavaliere indegno
Per cui tu stavi qui di sentinella,
Mettendoci, per altro, poco impegno!»
Quel non indugia e subito favella:
«Dietro questa porta in dura quercia,
Di polvere e di muffa sporca e lercia,
A cui feci la guardia così male
Che farei meglio se cambiassi impiego,
Si stende un corridoio in fondo al quale
S’apre una sala, fatta come spiego:
Scavata nella roccia in forma ovale,
È tanto larga ed alta che, non nego,
Ogni qual volta attraversarla devo
Mi gira il capo come quando bevo;
È lì che Cuordipietra siede in trono
Tiranneggiando altrui con gran piacere
E nella sala echeggia un tale suono,
Se ride o dà comandi alle sue schiere,
Che par che nella grotta vi sia un tuono
Da fare invidia alle tempeste vere…
Lì, dietro ad una porta, a tre mandate,
Sta chiusa quella donna che cercate.»
E al fine della frase usa il plurale
Poiché ha veduto bene Ser Corvino
(Guardando oltre la lama del pugnale),
Con lento piede, farsi più vicino,
Dubbioso su Brigastio e la morale,
E scuotere con forza il capo chino
Ché non gli par che ciò c’ha visto sia
Alcunché degno di cavalleria.
Brigastio allora dice al suo cattivo:
«Poi che m’hai raccontato tutto quello
Che t’ho richiesto, così ti prescrivo:
Partiti immantinente dal castello,
Che noi non lasceremo un uomo vivo
Che serva Cuordipietra in questo ostello;
E bada ben di non gridare “All’armi”
Se no mi toccherebbe d’arrabbiarmi…»
Il pelandrone, appena che ode questo,
Con una insospettata agilità,
Si mette in piedi e corre così lesto,
Per il timor di andar nell’aldilà,
Che, presa moglie e figli e tutto il resto,
Tempo un minuto, se ne va di là,
Trova un battello e vi si mette in mare
Con per destinazione “non tornare”.
Allora i nostri due, come uno solo,
Varcano quel portone minaccioso
Che porta dove il principe del dolo
Sta ritto sul suo trono tenebroso
E, come falchi c’han spiccato il volo
Planando sul paesaggio montagnoso,
Son pronti ad avventarsi sulla preda
E su chiunque il passo a lor non ceda.
Ma Cuordipietra ride dal suo scranno
Perché si è preparato a quest’istante
Quando due servi così detto gli hanno:
«Non s’ode in mensa più’l chiasso festante
Ma cozzi, grida, schianti e suon di danno!»
Sì ch’egli nella sala riecheggiante
Ha radunati tutti i suoi soldati
E par che più di cento ne ha schierati.
Ma ritardiamo un poco la novella
Circa la gran battaglia che si appronta
E ritorniamo a dir di Mirabella,
Di cui dal Canto Primo non si conta:
Cos’è avvenuto a questa damigella
Dopo che le fu fatta la grand’onta
Di trarla dalla casa di suo padre
E trascinarla qui in queste contrade?
Legata mani e piedi e imbavagliata
E trasportata a soma come un sacco,
La bella Mirabella, spettinata,
Fremente di paura e per lo smacco,
Con gran puntualità fu consegnata
(Pagata in contrassegno come un pacco)
A quel tiranno con il cuor di marmo
Che l’armi dell’Amor pose in disarmo.
Egli la chiuse in certi appartamenti
Che aveva fatto preparare apposta
Con due fantesche pronte ed efficienti
Che le badasser sempre senza sosta,
Poi la coprì di gioie e vestimenti,
Senza mai domandare “quanto costa”,
Sperando che, abbellendo la prigione,
Da lei potesse avere il guiderdone…
Ma Mirabella non fu affatto avvinta
Da quei bei doni su quel grande letto:
Se imporporiva sotto il fondotinta
O rossa si facea sotto il belletto,
Non era di vergogna in volto tinta
O colorata in viso dall’affetto,
Ma fatta era scarlatta dalla rabbia
D’esser tenuta come un gatto in gabbia.
Cuoredipietra provò in molti modi:
Le mandò doni e lettere d’amore,
Le parlò pieno di lusinghe e lodi,
Le disse «Bella m’hai rapito il cuore»
Le scrisse sei sonetti e sette odi,
Le offrì la cena e le donò un bel fiore;
Ma poi che sempre gli rideva in faccia
Al fine ripiegò sulla minaccia:
Le disse «Mirabella ti presento
Don Cincischione e Mazzamano il Boia:
Con un sol colpo d’ascia sotto al mento
La testa ti cadrà su quella stuoia
Che serve a non sporcare il pavimento.
Per cui decidi: ti dà meno noia
Che il Don consacri qui la nostra unione
O che impartisca a te l’estrema unzione?»
La bella dama alquanto tentennava
Nel dubbio della scelta tra i due orrori,
Ma poi che il boia l’ascia sua affilava
E il prete le dicea «Memento mori»
Si chiese quanto, in fondo, le gravava
Sposare il principe dei malfattori,
E concluse che avrebbe rinunciato
Piuttosto che alla vita al nubilato.
Don Cincischione celebrò le nozze
E Mazzamano il Boia fu invitato,
E quando, con maniere un poco rozze,
Ciascun dei convitati ebbe pranzato
Ad ostriche, caviale, scampi e cozze,
E il tempo di corcarsi fu arrivato,
A Mirabella il suo novel consorte
Tornò a parer più brutto della morte.
Allor gli disse: «Dolce mio marito»,
Mentre lui la scortava verso il letto,
«Mi duol di dir che non ho digerito:
Le cozze mi fan spesso quest’effetto…»
Lui disse: «Un digestivo sia servito!»
E poi le pose un palmo sopra il petto;
Gemette lei: «È troppo il mio dolore!
Rimanda di una notte il nostro amore!»
E tanto fece in gemiti ed in pianti
Che lui tornò a dormir nella sua stanza;
Ma il dì seguente si rifece avanti…
Lei disse: «Ho un movimento nella panza
Che mal si confarrebbe a degli amanti
Che avessero riguardo alla creanza;
Per cui ti prego, poiché mi vergogno,
Di rimandar d’un giorno il tuo bisogno.»
E Cuordipietra, per sembrar gentile,
Un’altra notte giacque con se stesso,
Ma il dì seguente ritornò all’ovile
E chiese «Il mio amoruccio s’è rimesso?»
E Mirabella: «Ho così tanta bile
Che passo la giornata sopra il cesso.»
Ed egli, scoraggiato da un tal motto,
Tornò a dormire con il suo orsacchiotto.
Notti diverse, medesima accoglienza:
Lui le diceva: «Moglie mia, suvvia!»
Lei ebbe il mal di testa, l’influenza,
L’ernia epigastrica e la lombalgia,
Quattro episodi di senil demenza,
La peste, la malaria, l’allergia,
E quasi ogni altra malattia funesta
Che viene a chi ha un marito che detesta.
Cuoredipietra, che di medicina
Non s’intendeva, ma non era idiota,
Vedendosi, mattina per mattina,
Svegliarsi solo in una stanza vuota,
Ammise infine che la mogliettina,
Di cui la ritrosia gli era ben nota,
Si difendeva dalle sue attenzioni
Fingendo nuovi morbi ed afflizioni.
La collera lo colse con veemenza
(Al fegato causandogli gran doglie)
E si risolse, bando alla clemenza,
La notte stessa visitar la moglie
E, fosse con parole o con violenza,
Ridurla a soddisfare le sue voglie,
Che ormai il suo affetto era mutato in astio…
Ma quella sera giunse lì Brigastio!
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