L’usignolo

Questa è una vecchia poesia.
L’ho scritta parecchi anni fa e l’ho subito incastrata in qualche cassetto, dove è rimasta acquattata a lungo. Quando ne è volata fuori, grezza e impolverata, molti anni dopo, non ha trovato posto con le altre nella Casa di Specchi, per cui è tornata nel cassetto e ha fatto il nido lì. Non è niente di che, ma mi ci sono affezionato, così ho deciso di farla appollaiare qui.
L’usignolo
Cantava un usignolo
tra il folto delle foglie,
lo udiron cacciatori
in faccende tra le fratte:
<<Senti che canzone
quel piccolo pennuto!>>
disse uno di loro
che aveva un fine udito.
<<Che bella la sua voce,
da riascoltare sempre!>>
Fu subito d’accordo
chiunque era presente:
<<Cantava di già ieri
e canterà domani…>>
<<Peccato non lo possano
alcoltare i nostri cari!>>
Fu preso l’usignolo
da mani in guanti bianchi,
fu posto in una gabbia,
mostrato a tutti quanti,
<<Sentite come canta!
Che dolce melodia!>>
<<Sentite la canzone
più bella che ci sia!>>
<<E’ così bravo e bello
che quasi mette rabbia!>>
Cantava un usignolo
nel freddo di una gabbia,
cantava una canzone
che non cambiava più:
cantava per del miglio
e un’acqua non mai blu,
<<Ricanta la canzone!>>
<<Ricanta ancora quella!>>
<<Lo sai quanto ci piace!>>
<<Sai quanto ci par bella!>>
<<Guardate le sue piume!>>
<<Guardate le sue ali!>>
Cantava l’usignolo
canzoni tutte uguali;
cantava dalla gabbia
con voce artificiale,
sfioriva nelle piume,
sgraziava nel volare.
<<Che aspetto poco bello,
dev’essersi ammalato!>>
Tremava l’usignolo
in un mondo congelato.
<<Che noia è diventato!>>
<<Son stufo d’ascoltarlo!>>
<<S’è tutto rimbruttito!>>
<<Che tedio nel guardarlo!>>
Dimentico del volo,
nel becchettare tardo,
taceva l’usignolo
sbiadito nello sguardo.
<<Non so se è vivo o morto…>>
<<E’ diventato vecchio.>>
Moriva un usignolo
gettato dentro un secchio.
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