«le rose che non colsi» – La ragazza coi capelli colorati

La ragazza coi capelli colorati vestiva un grunge post-Cobain slavato artificialmente, per cui dovevamo trovarci nella seconda metà degli anni ‘90. Credo portasse, invece dello zaino standard da studente, una borsa a tracolla del genere postino in bicicletta. Nonostante cercasse di nasconderlo negli abiti in stile carta da pacco, mostrava chiaramente tutti i sintomi di un’incurabile femminilità. Ricordo che la vedevo bella, bella e tesa, mentre si curvava su una sigaretta alla fermata del bus.
Suppongo mi avesse notato per via di quell’aria da squalo fuor d’acqua. Ero conficcato in pieno nel mio periodo più introverso (o almeno mi piace sperare che lo fosse): andavo in giro su degli stivali in finto cowboy, indossando abiti totalmente ed esclusivamente neri (il look heavy metal d’ordinanza era troppo vivace per i miei gusti), avevo capelli lunghi fino alla vita ed ero simpatico pressapoco come il Giovane Holden. Credo deducessimo una certa affinità tra noi dalla nostra mancanza di affinità con tutti gli altri, ma non ci eravamo mai parlati, per quella introversione di cui sopra.
Un giorno, mentre conversavo con un compagno di viaggio per ingannare l’attesa, lei ci sfilò davanti mostrando il meglio della sua indifferenza. Quando fu proprio davanti a me, nel togliersi distrattamente la mano dalla tasca, le cadde in terra un pacchetto di sigarette. Lo raccolsi cavallerescamente, facemmo conoscenza e diventammo quanto meno buoni amici.
Almeno questo è quello che avrebbe dovuto succedere secondo la mia successiva ricostruzione delle sue intenzioni.
In realtà il movimento con cui fece cadere il pacchetto fu talmente plateale che io, che pure ho un gentleman interiore molto esigente, il quale mi spinge a raccattare qualunque cosa caschi a una qualsiasi dama, fin dai tempi delle elementari, pensai che l’avesse gettato di proposito e non mi mossi. Guardai il mio compagno di conversazione: anche lui l’aveva visto, ma non accennava nulla. Avevo una certa spinta interiore al gesto da cavaliere, che mi tarlava come un presentimento di rimorso, ma pensai che sarebbe stato sciocco: sicuramente era un pacchetto vuoto. Guardai lei: il meglio della sua indifferenza.
Per la verità mi dava anche un po’ fastidio che buttasse a terra così la spazzatura: che gesto incivile e sgraziato per una bella donna che usava per la testa i colori dei vestiti! E c’era un cestino a meno di due metri!
Trascinai me stesso lungo quel blando conversare fino all’arrivo del pullman, sforzandomi in vano di non far rimbalzare gli occhi tra l’esule pacchetto e la ragazza.
Miagolarono i freni.
Un istante prima che le porte si aprissero, lei ci scivolò davanti.
«Scusate.» Disse, raccolse il pacchetto e salì sull’autobus. Non ci parlammo mai.
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